Con osteoporosi si intende la porosità dell’osso. Questa è la descrizione essenziale della patologia, che ha le sue origini addirittura in una scrittura egizia di cinquemila anni fa. Nell’osteoporosi, in buona sostanza, le ossa hanno un contenuto basso di minerali. Questo mutamento della composizione comporta un indebolimento della loro struttura interna che le rende più leggere e fragili. La parte interna delle ossa, ovvero l’osso trabecolare o spugnoso, è coinvolta per prima e in misura importante: le trabecole ossee diventano più sottili e gli spazi fra le trabecole si ampliano. La struttura nel suo complesso, così indebolita, vede ridotta la sua resistenza agli stress meccanici. In presenza di osteoporosi avanzata, può accadere che un minimo evento traumatico possa cagionare una frattura.
Fino a circa quarant’anni fa, l’osteoporosi non era classificata come un’autentica patologia ma come una conseguenza inesorabile dell’avanzare degli anni. Oggigiorno, l’osteoporosi è identificata da tutti come una vera malattia. Si è compreso che essa è connessa a numerosi fattori di rischio e che può presentarsi non solo nelle persone anziane ma, in determinate condizioni, a qualunque età. Nella maggioranza dei casi, essa colpisce in età avanzata.
Alla luce dell’allungamento della vita media, l’osteoporosi è una problematica che può diventare sempre più ricorrente. Tuttavia, occorre avere coscienza del fatto che si può fare prevenzione con misure adeguate per andare oltre a queste allarmanti prospettive.
L’osteoporosi è sostanzialmente la conseguenza di uno squilibrio del metabolismo osseo. Dopo la conclusione del periodo della crescita e dello sviluppo, l’esistenza dell’osso nelle persone adulte è fondata su un ciclo continuo di riassorbimento di osso “vecchio” e creazione di osso “nuovo”. Tale ciclo è denominato “rimodellamento” o “turnover” osseo.
Le ossa si compongono di tre elementi principali: la matrice organica, i sali minerali e le cellule ossee. La matrice organica è una fitta rete di fibre proteiche (collagene) che forma il substrato su cui si depositano i minerali, principalmente cristalli di calcio e fosfato (idrossiapatite). Anche se molto mineralizzato, l’osso è comunque un tessuto vivo, grazie all’attività di cellule specializzate che ne garantiscono quel rimodellamento o ricambio poc’anzi detto. Le cellule dell’osso sono perlopiù di due tipi, gli osteoblasti e gli osteoclasti. Gli osteoblasti sintetizzano e depongono la matrice e preparano le condizioni per agevolare la precipitazione dei sali minerali. La loro funzione è quindi far formare l’osso nuovo. Al contrario, gli osteoclasti riassorbono a livello locale l’osso, liberando i sali minerali in soluzione nei liquidi interstiziali e lasciando cavità molto piccole. Normalmente l’osso riassorbito è velocemente rimpiazzato da osso neoformato, per il successivo intervento degli osteoblasti. In condizioni normali, infatti, le procedure di riassorbimento e di neoformazione sono sempre accoppiate, e mantengono l’osso in condizioni ottimali riparando microfratture e rafforzando la sua struttura interna lungo le linee di carico meccanico. L’attività fisica è in ogni momento della vita uno stimolo importante per il rimodellamento dell’osso, e fa sì che esso avvenga proprio dove è richiesto per massimizzare la robustezza dell’osso e la sua resistenza al carico. Questa è la motivazione per cui le persone attive fisicamente, e con un peso maggiore, hanno ossa più robuste di quelle sedentarie o molto magre.
L’equilibrio fra il riassorbimento di osso vecchio e la deposizione di osso nuovo è la chiave della salute dell’osso.
Il medesimo meccanismo, denominato anche modellamento osseo, è quello che consente la crescita e lo sviluppo dello scheletro nei primi step della vita, infanzia, adolescenza, gioventù. In questa fase, chiaramente, che può protrarsi sino ai trent’anni, la formazione di osso deve superare il riassorbimento. Le dimensioni delle diverse ossa crescono, in base all’età e alla tipologia di osso, sia in lunghezza che in spessore, e di conseguenza accrescono sia il quantitativo di minerali accumulati nello scheletro, sia il quantitativo di minerali per unità di volume dell’osso.
In età adulta si tratta di mantenere il più possibile integro il capitale osseo accumulato durante la fase di crescita. In condizioni di normalità, per numerosi anni i processi di riassorbimento e neodeposizione rimangono perfettamente bilanciati, e la massa ossea totale rimane costante. In età avanzata, o dopo la menopausa nelle donne, o in presenza di determinate condizioni o patologie, la creazione di osso non riesce più a mantenere il passo con il riassorbimento: l’attività degli osteoclasti tende sempre più a prevalere sull’attività degli osteoblasti. Sotto a determinati livelli, la riduzione di massa dell’osso diventa clinicamente significativa. In una fase iniziale, meno acuta, si parla di osteopenia; in seguito, quando la riduzione di minerali è diventata spiccatamente patologica e si verifica un incremento di rischio di fratture “da fragilità”, si parla di osteoporosi.
Un concetto basilare è quello di “picco di massa ossea”, ovvero il valore massimo del tasso di minerali nell’osso, a cui si arriva a circa venticinque – trent’anni. Esso è il valore massimo di contenuto di minerali nell’osso, quello da cui avranno inizio tutte le future perdite. È ovvio che con l’invecchiamento, quando si comincia a perdere minerali ossei, se si è ad un livello alto del picco si avranno molti più margini e trascorrerà molto più tempo, prima di essere nelle zone a rischio dell’osteopenia e a seguire dell’osteoporosi, a differenza di chi è a livelli di picco di massa ossea più bassi o addirittura già non sufficienti. Dunque, più è alto il picco raggiunto da giovani, più importante è il margine di sicurezza. Più basso è il picco, più grande è la possibilità di arrivare prima all’osteoporosi. La vera prevenzione passa attraverso giusti interventi educativi, che comportano la massimizzazione del picco di massa ossea, come una corretta alimentazione, regolare attività fisica e uno stile di vita sano.
Cause
L’osteoporosi ha varie cause. Fra di esse qualunque aspetto che possa modificare il delicato processo di crescita e, successivamente, di mantenimento dell’osso; qualsiasi cosa che possa far mutare la disponibilità dei minerali necessari; l’assenza di attività fisica. Tutti fattori che possono provocare osteoporosi.
Le manifestazioni più ricorrenti di osteoporosi sono: l’osteoporosi postmenopausale cagionata essenzialmente dalla rapida caduta della produzione di ormoni sessuali femminili, che di norma garantiscono il rimodellamento osseo in equilibrio inibendo l’azione degli osteoclasti; l’osteoporosi senile che è legata al complessivo indebolimento di tutti i processi vitali, compresa la produzione endogena di vitamina D e il ridotto assorbimento intestinale di calcio.
Altre tipologie di osteoporosi sono secondarie a diverse malattie croniche, come l’ipertiroidismo, l’iperparatiroidismo, le malattie croniche che sono alla base del malassorbimento, l’insufficienza renale cronica, o anche l’uso terapeutico a lungo periodo di diversi farmaci, come i corticosteroidei o l’eparina. Queste e altre malattie, fra cui patologie congenite come la fibrosi cistica o la distrofia muscolare di Duchenne, possono causare osteoporosi anche nei giovani e addirittura nei bambini. Una forma molto grave di osteoporosi giovanile è quella legata all’anoressia nervosa.
Su alcuni fattori di rischio si può intervenire modificando lo stile di vita e le abitudini come alimentazione, attività fisica e fumo.
La diagnosi
La definizione ufficiale di osteoporosi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è la seguente: “Una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da bassa massa ossea e da alterazioni architetturali dell’osso che portano ad un aumentato rischio di fratture”. Di seguito una rapida spiegazione.
Per “malattia sistemica” si intende che nell’osteoporosi non c’è ossa che si risparmi dalla problematica. Senza dubbio quelle che sorreggono il peso del corpo, quindi soggette allo sforzo massimo, sono più inclini a rompersi.
Con “bassa massa ossea”, invece, si vuole sottolineare che il contenuto di minerali dell’osso è decisamente minore rispetto alla norma.
Le “alterazioni architetturali” sono le alterazioni della struttura interna dell’osso, l’osso spugnoso o trabecolare, le cui trabecole si fanno più sottili o si spezzano. Di conseguenza gli spazi intertrabecolari si allargano.
La diagnosi dell’osteoporosi si fonda sulla misurazione del contenuto minerale ossea (BMC) e della densità minerale ossea (BMD) in specifici siti scheletrici. L’esame è denominato densitometria ossea o mineralometria ossea computerizzata (MOC). La tecnica di densitometria a cui più frequentemente si fa ricorso si chiama DXA (dual X-ray absorptiometry). Altre tecniche si muovono attraverso la tomografia computerizzata (TAC) o sugli ultrasuoni.
Sintomi
Si può dire che l’osteoporosi sia asintomatica, in quanto i sintomi sono davvero pochi. In alcuni casi, in seguito ad una camminata o dopo essere stati a lungo in piedi, si può avvertire un mal di schiena da varia intensità, localizzato generalmente nella zona lombare, che di solito passa sdraiandosi. Si tratta con tutta probabilità al dolore connesso alla presenza di microfratture vertebrali, troppo piccole per essere evidenziata tramite radiografia.
In altre situazioni, l’osteoporosi può essere totalmente senza sintomi, fino a quando si manifesta d’improvviso con una frattura a causa anche di un evento traumatico di scarsa entità. Le fratture sono la più importante complicanza dell’osteoporosi e la sua più ricorrente manifestazione clinica. Le fratture più comuni sono le fratture di polso, delle vertebre, dell’omero e soprattutto di femore. Quest’ultima fattispecie si verifica, in particolare, in vecchiaia causando anche la perdita della piena autosufficienza. In alcuni casi non si riesce nemmeno più a camminare dovendo ricorrere alla sedia a rotelle.
La quasi totale assenza di sintomi rende necessario lo studio dei fattori di rischio. Nelle persone più inclini a questa problematica si debbono adottare misure preventive idonee e si deve fare richiesta di un esame densitometrico (MOC). In ogni donna all’inizio della menopausa si consiglia di valutare la presenza di fattori di rischio e nel caso sottoporsi ad una MOC.
Terapia
L’osteopenia è a tutti gli effetti un segnale di allarme, che può precedere l’osteoporosi.
Le persone interessate da determinate patologie croniche o quelli in terapia corticosteroidea cronica sono più soggetti allo sviluppo di osteoporosi.
L’attività preventiva più idonea inizia in gioventù, possibilmente prima della pubertà, e ha lo scopo di massimizzare il picco di massa ossea. In seguito al termine del periodo di sviluppo scheletrico, le misure preventive sono esclusivamente mirate a mantenere la massa ossea acquisita e in vecchiaia a ridurre o frenare l’inevitabile perdita di massa ossea.
La prevenzione dell’osteoporosi si fonda su tre azioni chiave: idonea assunzione di calcio, normale metabolismo della vitamina D, regolare attività fisica.
• L’assunzione di calcio è notoriamente trascurata in ogni Paese. Diversi approfondimenti hanno sottolineato che anche i bambini e i ragazzi ne assumono in quantità inferiore della misura ottimale. Tale aspetto è centrale per la prevenzione dell’osteoporosi. Qualora non si riesca ad apportare modifiche alla dieta, si può fare ricorso a supplementi di calcio per raggiungere l’apporto ottimale.
• La vitamina D è essenzialmente sintetizzata nella pelle per azione dei raggi UV-B della luce solare. Essa è poco presente nei cibi. La vitamina D è attivata nell’organismo in due passi successivi, il primo nel fegato e il secondo nel rene.
• L’attività fisica è generalmente consigliata in qualunque momento della vita, purché sia adeguata all’età. Gli anziani, in particolare se affetti da osteoporosi, dovrebbero evitare qualsiasi attività che causi eccessive sollecitazioni per l’osso o che comporti possibilità di cadute. Una camminata, per mezz’ora al giorno, cinque giorni alla settimana, basta per agevolare il rimodellamento osseo e mantenere un osso sano.
Questi tre aspetti, appena evidenziati, costituiscono anche i capisaldi del trattamento dell’osteoporosi.
Si può fare ricorso anche a farmaci specifici: vari bisfosfonati, fra i più utilizzati; il raloxifene, un analogo degli estrogeni con attività specifica sui recettori ossei, utilizzato solo in donne dopo la menopausa; gli estrogeni usati per la terapia ormonale sostitutiva nella menopausa.
Questi farmaci, in particolare i bisfosfonati, colpiscono soprattutto gli osteoclasti. Lo scopo è inibire il processo di riassorbimento osseo e riportarlo in equilibrio con la formazione.
Nessuno di tali farmaci è capace di risolvere totalmente l’osteoporosi e di riportare un osso osteoporotico alla normalità. Essi possono esclusivamente rallentare, fermare l’avanzare della malattia oppure supportare recuperi parziali della densità ossea sul lungo periodo.
Dr. Maurizio Radi
Fisioterapista – Osteopata
Dr. Andrea Valentini
Fisioterapista