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La frattura del piatto tibiale

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La frattura del piatto tibiale

La frattura del piatto tibiale interessa il ginocchio. Si tratta di fratture che hanno diverse manifestazioni cliniche e sono spesso associate ad altre lesioni, in particolare ai legamenti del ginocchio (crociato anteriore, crociato posteriore, collaterale mediale, collaterale laterale), lesione del tendine rotuleo o del muscolo quadricipite e lesione al menisco.
La frattura può interessare il piatto tibiale nella sua parte laterale, mediale o in entrambe. I diversi tipi sono descritti dalla classificazione «Schatzker».
La frattura del piatto tibiale genera dolore al ginocchio, edema e possibile deformità, con impossibilità di fare alcuni movimenti con l’arto interessato e limitazioni nelle attività quotidiane di vario tipo.
È generalmente provocata da eventi traumatici importanti, mentre si fa sport oppure causati da incidenti stradali in auto o in moto. Nelle persone più anziane può verificarsi anche a causa di traumi più leggeri.
La frattura del piatto tibiale si verifica soprattutto negli uomini, in particolare nei soggetti di età inferiore ai 50 anni e in persone con più di 70 anni. In quest’ultimo caso, il sesso maggiormente coinvolto è quello femminile anche alla luce della fragilità e debolezza delle ossa con possibile presenza di osteoporosi. Gli uomini complessivamente sono comunque più interessati dal fenomeno. La maggior parte delle fratture si verifica fra i 40 e i 60 anni.

Cause
La frattura del piatto tibiale è cagionata da diversi fattori:
• A seguito di incidenti stradali in macchina o in motocicletta;
• Dopo cadute da altezze elevate;
• Infortunio durante la pratica sportiva (sci, calcio, rugby, volley, basket);
• Investimento di pedone da parte di un’automobile.
La frattura del piatto tibiale è stata classificata in sei diversi modi, da parte di Schatzker che nel 1979 ha reso pubbliche le proprie esperienze dopo aver trattato novantaquattro casi. Questi studi sono tutt’oggi presi come riferimento a livello mondiale. Essi sono fondati sull’entità della lesione e sono usati per una valutazione complessiva, per studiare la gestione della frattura e prevedere una prognosi. Di seguito le sei tipologie di frattura:
• Primo tipo: frattura del piatto tibiale laterale senza depressione;
• Secondo tipo: frattura del piatto tibiale laterale con depressione;
• Terzo tipo: frattura da compressione del piatto tibiale laterale o centrale;
• Quarto tipo: frattura del piatto tibiale mediale;
• Quinto tipo: frattura del piatto tibiale bicondilare;
• Sesto tipo: frattura del piatto tibiale con discontinuità diafisaria.

Sintomi
La frattura del piatto tibiale è una frattura complessa e si manifesta con diversi segnali e sintomi che consentono di riconoscere questa lesione durante l’esame fisico. In genere il paziente segnala:
• Presenza di un trauma;
• Dolore che aumenta muovendo l’arto o toccandolo;
• Presenza di ematoma.
Si può anche rilevare:
• Gonfiore della zona interessata;
• Impossibilità di caricare sull’arto;
• Movimenti limitati;
• Eventuale deformità;
• Alterazioni della sensibilità, in caso di lesioni vascolari o neurologiche.
In sede di diagnosi è importante escludere possibilità di sindrome femoro-rotulea, frattura della rotula, frattura distale del femore, lesione al menisco, lesione del legamento crociato anteriore e frattura della tibia.
Per valutare la frattura del piatto tibiale occorre effettuare esami fisici ed esami strumentali, importanti anche per pianificare un eventuale intervento chirurgico, in caso occorresse. Si può procedere con:
• RX: si tratta del primo esame eseguito per localizzare la lesione e la tipologia. Tuttavia, in alcuni casi la RX non basta ed è quindi necessaria una TAC;
• TC: la tac consente di avere dettagli precisi sulla frattura;
• RMN: la risonanza magnetica da la possibilità di vedere ancor più approfonditamente la lesione e indagare sulla presenza di ipotetiche lesioni dei tessuti molli.

Trattamento
Il trattamento della frattura del piatto tibiale varia a seconda del tipo di lesione. Il più delle volte si deve ricorrere all’intervento chirurgico, in altre occasioni si opta per il trattamento conservativo. La scelta su come intervenire spetta al chirurgo ortopedico che, in seguito ad un’attenta analisi del caso, decide come procedere. Si ricorre alla terapia conservativa in presenza di fratture stabili e composte. Il fine principale è lenire il dolore e rendere la guarigione più rapida possibile. Qualora non si ricorra ad intervento chirurgico, il ginocchio è immobilizzato con gesso o tutore per un periodo di almeno quattro settimane allo scopo di consolidare l’osso. Una volta avvenuto il consolidamento, previa radiografie di accertamento, il gesso sarà tolto e il paziente inizierà un percorso di fisioterapia con specifiche mobilizzazione per recuperare la mobilità, articolarità e aumentare gradatamente il carico sull’arto interessato dalla frattura. Questo iter è consigliato per persone di una certa età che non hanno particolari esigenze funzionali, nei casi in cui l’articolazione è stabile.
Si ricorre all’intervento chirurgico, quando si verificano fratture esposte, associate a lesione vascolare e fratture con instabilità dell’articolazione. Il tipo di operazione varia dalla tipologia di frattura subita dal paziente, dai dettagli acquisiti dall’esame fisico e dalle risultanze delle indagini con imaging. Esistono varie modalità di intervento chirurgico, come la riduzione della lesione con fissazione interna attraverso placche e viti o altrimenti con un fissatore esterno. Il medico decide la strada da intraprendere in base al caso, alla salute del paziente e alle sue istanze.
Dopo l’operazione chirurgica è necessario sottoporsi a trattamenti riabilitativi di fisioterapia per il recupero della mobilità dell’arto interessato, del tono muscolare e della propriocezione. Lo scopo principale è garantire al paziente il ritorno allo svolgimento delle normali attività quotidiane e sportive.
Dopo l’operazione chirurgica possono sopraggiungere complicazioni legate a rigidità del ginocchio, infezione, osso non consolidato, lesioni neuro-vascolari o artrosi.

Dr. Maurizio Radi
Fisioterapista – Osteopata